Montecatini e il suo Mirò
Descrizione
Sapete che la città di Montecatini possiede un Mirò?
Si tratta di Dona Voltada d’un Vol d’Ocells, in italiano Donna avvolta da un volo d’uccello, una delle più grandi opere realizzate dall’Artista catalano.
L’enorme tela – 3 metri e 15 centimetri di altezza e 2 metri e 60 di base – fu dipinta dal Maestro proprio per essere donata alla città termale.
Era il 1980.
La primavera di quell’anno fu spettacolare per Montecatini: una manifestazione chiamata Maggio Mirò portò in città molti artisti da ogni parte del mondo che realizzarono qui opere ispirate alla figura e ai lavori del grande maestro catalano al fine di rendergli omaggio.
Ideatore dell’evento era il noto intellettuale cubano Carlos Franqui che in quegli anni abitava nella città termale.
Forte della personale amicizia con Mirò fin dai tempi della rivoluzione cubana e, successivamente, in quelli dell’esilio, lo aveva coinvolto nell’iniziativa garantendo anche la sua personale presenza.
In realtà Mirò non arrivò mai in città: poco prima della partenza, un incidente gli impedì il programmato viaggio a Montecatini.
All’epoca l’Artista aveva 87 anni e solo tre anni più tardi ci avrebbe lasciato.
Nel dipinto Mirò scarica tutta la sua disperazione e la sua rabbia per questo triste imprevisto che appare come un presagio.
Da quell’immensa macchia di vernice nera scaraventata sulla tela - a stravolgere il disegno originario dell’uccello, che più volte, nel suo personale alfabeto, ha identificato come la morte - trapela un senso di angoscia, la più cupa, quella che scaturisce dalla consapevolezza dell’avvicinarsi della fine.
Dalle impronte dei tacchi, impressi con collera sul colore e ancora chiaramente visibili, dirompe la rabbia dovuta all’impotenza di sfuggire al decadimento fisico e alla morte.
E la Donna, quintessenza della forza umana, fonte di vita, protagonista importante e costante della sua produzione, dov’è?
“Per me, quel che chiamo ‘donna’ non è la creatura donna, è un universo”, parole del Maestro.
La rappresentazione di questo universo che è la figura femminile, con gli anni cambia passando da immagini più facilmente identificabili – e ispirate a icone primitive – a segni dalle forme più diverse.
In molti quadri in cui Mirò annuncia, attraverso il titolo dell’opera, la presenza della donna, quella donna sembra assente, a volte si fa fatica a trovarla. O, se la si trova, non è detto che in altri lavori sia rappresentata nello stesso modo.
Nel dipinto del Mo.C.A. essa è “ritratta” nelle poche linee sinuose dai primari colori sulle quali predominano, insieme alla grande macchia di vernice nera, importanti segni dello stesso colore per lo più spigolosi.
Quasi a significare, in quel momento di prostrazione della propria esistenza, il prevalere del senso della morte, identificato nel volatile, su quello della vita, immedesimato nella Donna.
C’è chi afferma, e forse con ragione, che nella Donna di Mirò al Mo.C.A. vi è ognuno di noi. Perché per tutti arriverà il giorno in cui gli anni a venire si conteranno sulle dita di una mano e al sentimento di eternità tipico della giovinezza subentreranno le miserie della vecchiaia. E quel giorno, come per Mirò, sarà difficile sfuggire a quelle emozioni di disperazione e di rabbia che, insieme alla paura, hanno potenza tale da offuscare la meraviglia della vita.
Curiosità
Sulla tela si scorgono ancora le impronte delle mattonelle del pavimento dello studio di Palma di Maiorca dove Mirò la dipinse. Del resto è lo stesso Artista a raccontare la sua tecnica di lavoro: “Appoggio i miei quadri a terra. Quando sono per terra, posso camminarci sopra. Per terra lavoro sdraiato a pancia in giù. Oh sì, mi sporco tutto di pittura, faccia, capelli, mi ritrovo schizzi dappertutto”
Joan Miró, 1974
Joan Miró, 1974
Sulla sinistra si intravedono due chiazze di colore marrone. Non hanno l’aspetto tipico dei segni dell’alfabeto di Mirò… Infatti non lo sono. Si tratta di macchie di caffè caduto all’artista sulla tela mentre vi stava lavorando.
All’amico Franqui che era andato a trovarlo a Palma di Maiorca e che gli aveva suggerito di toglierle essendo l’opera un dono, Mirò risponde di no. “In Italia quando due amici si incontrano o un ragazzo approccia una ragazza, la cosa più naturale è chiedere di prendere un caffè insieme …” Le piccole tracce della bevanda diventano esse stesse un simbolo, del legame tra l’opera e l’Italia, il paese che la accoglierà.
Non potendo venire a Montecatini, l’artista affidò il grande quadro a Franqui perché lo portasse in regalo alla città come tangibile testimonianza della sua partecipazione all’evento. All’epoca, il 1980, non vi era ancora l’Unione Europea. Per arrivare in Italia, il quadro sarebbe stato sottoposto al pagamento di dazi alle dogane, denaro, tanto, di cui il Comune non disponeva. E fu così che la tela arrivò a Montecatini avvolta sulle spalle del cubano come fosse un tappeto persiano!
Sul retro dell’opera, il titolo e la dedica alla città, firmato Mirò.
La consegna ufficiale del quadro è avvenuta a Roma il 16 settembre 1980.
Infine … ci piace ricordare il grande catalano con le parole del nipote, Joan Punyet Miró:
“Joan Miró ha sofferto moltissimo nella vita, soprattutto da giovane. Ha conosciuto la fame, ha subito l'esilio durante la guerra civile spagnola, ha affrontato prove difficili. E dopo l'esilio, la guerra e i soprusi del franchismo, non ha mai più dimenticato chi aveva bisogno, i rifugiati, i profughi, i dissidenti e i deboli.”